X-Ray MAGIC al CERN: quando i sogni incontrano l'innovazione

X-Ray MAGIC al CERN: quando i sogni incontrano l'innovazione

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Da un garage buio a un badge da "innovatore". Questa è la storia di come il bambino curioso che costruiva esperimenti con quello che trovava in casa è arrivato a presentare un'idea davanti a una giuria al CERN. Non con un trofeo in mano, ma con qualcosa di più raro: un team vero e la sensazione di aver toccato un pezzo di futuro.
 
Non abbiamo vinto. E va bene così.
Perché quando sono tornato da Ginevra, con ancora negli occhi le sale del CERN e nelle orecchie il ronzio degli acceleratori, ho capito che la vera vittoria non era sul palco finale. Era nel momento in cui ho realizzato che tutto, proprio tutto quello che avevo fatto negli anni mi aveva portato esattamente lì.
Quel badge da "innovatore" che mi dondolava sul petto mentre camminavo nei corridoi del centro di ricerca più prestigioso del mondo non era solo un pezzo di carta. Era la prova concreta che i sogni da bambino, se li coltivi abbastanza a lungo, un giorno si trasformano in realtà da adulto.

Da un garage buio al badge del CERN

A 16 anni avevo costruito il mio primo "acceleratore di particelle" dentro una ciotola da insalata. Strisce di alluminio adesivo rubate dal garage di mio padre, un piccolo generatore elettrico, e una pallina che accelerava in circolo come un motore primitivo. Era più un giocattolo che scienza, ma per me era magia pura.
Qualche anno dopo passavo serate a oscurare una stanza, con una camera a nebbia improvvisata fatta di barattoli, alcol isopropilico e una siringa da 100 millilitri per creare il vuoto. Vedevo tracce sottili attraversare il campo visivo e provavo la meraviglia di chi non sa ancora cosa sta guardando ma sente che lì c'è qualcosa di importante.
La prima volta che riuscii a vedere la scia di un muone fu come toccare l'invisibile. Ero super emozionato, pur non capendo al 100% quello che stavo facendo. Ma era quella curiosità pura, quel bisogno di fare per capire che oggi riconosco come il mio modo di imparare.
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non ho troppe foto dell’epoca ma questo è un tentativo di camera da vuoto maldestro
Poi mi spinsi oltre: recuperai il cannone elettronico da un vecchio televisore a tubo catodico, provando a costruire un vero acceleratore di elettroni. Niente di utile, tutto di formativo. Erano esperimenti da ragazzino, giochi. Ma erano anche il mio modo di esplorare la natura, il mondo, seguendo le orme dei fisici che avevo letto sui libri di Stephen Hawking.
Il CERN è sempre stato un sogno. Da quando avevo scoperto che esistevano acceleratori lunghi chilometri che facevano la stessa cosa che io provavo a replicare nel mio piccolo laboratorio, ma con una precisione e una potenza inimmaginabili. Dicevo sempre: "Un giorno visiterò il CERN", senza avere idea di cosa significasse davvero.
Poi la vita ha preso altre strade. L'università, progetti in giro per il mondo, esperienze che sembravano portarmi lontano da quel sogno. Un po' alla volta, era scivolato nella categoria "belle idee del passato". Era diventato uno di quei sogni che metti da parte pensando: "Ormai fa parte di un'altra versione di me".
Quando ho saputo della Challenge-Based Innovation ho mandato la candidatura senza aspettative. Non cercavo un timbro sul CV; cercavo un'occasione per rimettere le mani nella curiosità scientifica più pura. Entrare al CERN non come visitatore, ma come qualcuno che prova, con altri, a fare un passo in avanti. E ci sono riuscito!

CBI 2025: dieci giorni per ricordarmi perché faccio quello che faccio

Dieci giorni intensi all'European Scientific Institute, ad Archamps, e presentazione finale al CERN. La domanda era semplice e vertiginosa: come possono gli acceleratori di particelle migliorare la salute umana? La risposta non poteva che nascere in squadra.
Il nostro gruppo si è chiamato The T.E.A.M. - Terrific Experts in Accelerating Medicine. Il nome è nato quasi per scherzo, ma quel gioco è diventato identità: ritmo alto, curiosità, rispetto, ironia. Eravamo diversi per origine, competenze e abitudini mentali: fisici, biomedici, chimici. Era una complessità che poteva diventare caos, ma che invece è diventata ricchezza.
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Lavorare con un gruppo di sconosciuti per due settimane full-immersion, 12-14 ore al giorno, è impegnativo. Al terzo giorno è arrivato l'inevitabile storming: incomprensioni su criteri di ricerca, verifiche, scelte progettuali. Poteva diventare sabbia negli ingranaggi. Invece è diventata colla.
Non ho "gestito" il team; ho provato a facilitarlo dall'interno. Pochi discorsi sui metodi, molti gesti concreti: timebox, scelte visibili, retro rapide, mappe semplici. E una domanda, ripetuta finché è diventata un meme: "So what?" Ogni dato, ogni idea: a cosa serve? Per chi? Con quale impatto?
Quella domanda ricorrente ci ha fatto pensare tre idee valide invece di accontentarci della prima che suonava bene. Ci ha tirato fuori da discussioni astratte e ci ha riportato al paziente, al chirurgo, alla sala operatoria. È stato assurdo per me vedere quanto velocemente si possa passare da incomprensione a sinergia, se hai gli strumenti giusti e li usi con intenzione.
Il giorno di pausa ad Annecy (cittadina con un lago meraviglioso) è stato fondamentale. Non abbiamo lavorato sul progetto in senso tecnico, ma in realtà abbiamo lavorato tantissimo. Perché il lunedì, quando ci siamo rimessi al lavoro, avevamo un'intesa umana che andava al di là di un foglio Excel o di una board Miro. Avevamo costruito fiducia e comprensione reciproca.
Quando un team funziona davvero, uno più uno non fa due. Fa cinque, sei, otto. Perché ci sono sinergie che emergono, connessioni che nascono dall'intesa, energie che si amplificano invece di disperdersi.

La visita che aspettavo da una vita

Il terzo giorno è arrivata la visita al CERN. Prima il gateway pubblico, il piccolo museo interattivo che ti accoglie con la storia e la missione di questo posto. Mentre guardavo gli exhibit, mi sono ricordato di tutte le volte che da ragazzino avevo guardato documentari su quel luogo, immaginando come sarebbe stato entrarci. E adesso non solo ci stavo entrando, ma stavo per accedere agli spazi da scienziato, con il permesso di andare a vedere quei luoghi che la maggior parte delle persone può solo sognare.
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Poi sono arrivate le visite vere: LEIR, MEDIC con le sue applicazioni robotiche e mediche, le lezioni su come il CERN si è evoluto nel tempo, non solo in senso spaziale ma concettuale. Ascoltare chi quegli spazi li vive quotidianamente raccontare di come scienziati da tutto il mondo si riuniscono e collaborano indipendentemente dalla loro origine e politica. Una città dentro la città, una realtà che supera i confini nazionali.
Quei tunnel infiniti, il silenzio rotto dai server, rumori elettrici e suoni strani che nascondono una complessità inimmaginabile, gli switch e i controlli di LINAC4 che si estendono come una cattedrale tecnologica. E anche i cartelli "non far entrare i piccioni"- eredità di quando si erano rotte delle finestre e tutto un magazzino si era riempito di guano, richiedendo settimane per ripulire anche le parti degli acceleratori. Anche al CERN, alla fine, bisogna fare i conti con la natura che trova sempre il suo modo di sorprenderti.
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Ma il momento più emozionante è stato scendere nei bunker degli acceleratori. L'attesa davanti alla porta di sicurezza, l'autorizzazione che arriva, e poi l'accesso. Lì, in mezzo al casino di bobine, lenti magnetiche e pezzi apparentemente in disordine (ogni laboratorio ha il suo modo di essere organizzato, ma non è certo il design estetico che viene al primo posto), ho pensato: "Cavolo, sono davvero arrivato qui dentro".
È stato in quel momento, camminando in quegli spazi dove nascono le scoperte che cambiano il mondo, che ho realizzato fino in fondo cosa significa essere lì non solo come visitatore, ma come parte di qualcosa. Come qualcuno che prova a spingere un po' più in là il confine di quello che sappiamo fare.

Un'idea con i raggi X

La nostra proposta si chiama X-Ray MAGIC. In breve: un cemento osseo iniettabile che si attiva su richiesta usando raggi X diagnostici (low-dose, low-energy). L'idea nasce da un incastro semplice e potente: un materiale base bioattivo, particelle fosforescenti che convertono raggi X in luce visibile, e un fotoiniziatore che, illuminato, avvia la polimerizzazione. Il chirurgo ottiene così controllo temporale e spaziale sulla presa del cemento, con l'obiettivo di migliorare gli esiti in ossa fragili (pazienti osteoporotici) e ridurre rischi legati ai cementi tradizionali.
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Quello che mi interessa qui non è la scheda tecnica (arriverà nei paper), ma il perché: cercavamo un punto d'incontro fra ciò che già esiste in ospedale e un salto di qualità nell'ancoraggio in un osso povero. Una innovazione laterale, non distruttiva, che mette insieme punti già esistenti di mondi diversi.

Il giorno finale e la presentazione al CERN

La vigilia abbiamo terminato le prove della presentazione alle tre del mattino. Non era perfezionismo: era cura. Al CERN (soprattutto nella sala più prestigiosa, davanti al direttore) non porti solo diapositive – porti il meglio che hai in quel momento.
Sul palco ho sentito tutte le versioni di me stesso: il ragazzo nella stanza buia, lo studente che smonta e rimonta, il facilitatore che tiene il filo quando la stanchezza fa onde. Quegli esperimenti che facevo al buio del mio laboratorio erano diventati la base per dialogare con fisici esperti, per entrare in conversazioni che credevo fuori dalla mia portata.
Non è solo che sono stato al CERN. È come ci sono stato. Non da visitatore, non da studente in gita. Ma con un badge da innovatore, con un progetto che prova a inventare qualcosa di nuovo. Da protagonista, non da spettatore.
Non abbiamo vinto il pitch finale, ma siamo stati valutati come l'idea più fattibile e con la potenzialità di impatto più vicina al reale. "Realisti nel nostro essere visionari", ha detto qualcuno. Per me, in quel contesto, è stata la medaglia giusta. Ci siamo riusciti quanto basta per credere che valga la pena andare oltre la settimana di sprint.
 
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il momento di presentare l’idea nella Council Chamber - la sala conferenze più prestigiosa di tutto il CERN
 

Cosa mi porto a casa

Tre cose, senza fronzoli:
  1. L'innovazione è umana prima che tecnologica: se non allinei prospettive, nessun materiale "magico" regge. Il team è l'unità minima di impatto. Un gruppo che si fida si muove più velocemente di qualsiasi singolo brillante.
  1. La domanda giusta è un acceleratore: "So what?" ha cambiato il nostro modo di pensare e scegliere. È stata quella dimensione del team che mi era mancata tantissimo nelle esperienze remote: la complessità aggiuntiva di gestire persone, emozioni, deadline in modo stringente e personale. Ma anche una sfida che dà una soddisfazione completamente diversa.
  1. I sogni di un bambino non sono infantili, sono semi: se li coltivi abbastanza a lungo, con abbastanza curiosità e coraggio, un giorno germogliano in realtà che superano anche i sogni stessi. Tutto - proprio tutto - quello che avevo fatto mi aveva portato esattamente lì. Ogni esperimento da adolescente, ogni progetto apparentemente sconnesso, ogni momento in cui avevo seguito la curiosità invece della convenienza.
 
💡
La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione - Citazione falsamente attribuita a Seneca (è apocrifa)

E adesso?

Con The T.E.A.M. ci siamo promessi di non lasciar spegnere questa scintilla. Forse X-Ray MAGIC crescerà oltre lo sprint, forse no. In ogni caso, abbiamo costruito un linguaggio comune per affrontare problemi reali con rispetto e ambizione. Sono tornato con amici veri, persone con cui abbiamo condiviso due settimane super intense e che non vedo l'ora di rivedere.
So che c'è ancora un livello nuovo da scoprire su questa dimensione del team. Più elevato, più potente. E non vedo l'ora di metterci le mani nel prossimo progetto.
Sono tornato a casa con meno voce e più visione. La prossima volta che oscurerò una stanza non sarà per vedere particelle, ma per ricordarmi che la curiosità non si misura in Watt. E che quando ti circondi delle persone giuste, la luce, prima o poi, arriva sempre.

Ringraziamenti

Un grazie veloce a chi ha reso tutto questo possibile: al mio professore che mi ha parlato di questa opportunità quando ancora non ci credevo nemmeno io, a tutti gli organizzatori della Challenge-Based Innovation che hanno creato uno spazio dove l'impossibile diventa quotidiano, al CERN per aver aperto le porte non solo agli edifici ma alle possibilità. E ovviamente a The T.E.A.M. e tutti gli altri partecipanti che hanno trasformato dieci giorni di lavoro in un'esperienza che ancora mi dà energia quando ci ripenso.
A volte le cose migliori nascono quando smetti di cercarle e inizi semplicemente a essere curioso di quello che può succedere.
 
Se hai dei sogni che credi "ormai facciano parte del passato", ripensaci. Magari stanno solo aspettando che tu diventi la persona capace di realizzarli. E ogni cosa che fai per curiosità, ogni competenza che sviluppi per il puro piacere di sapere, ogni volta che scegli di costruire invece di solo consumare, stai investendo in quella persona.
Data pubblicazione: 27 agosto 2025

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