un percorso che è più una sfida che un corso, e il valore non è dove pensavo.
Quando ho cliccato "iscriviti" alla Cleantech Academy non avevo un piano. Vedevo un programma sulla carta ambizioso tra energia, sostenibilità e innovazione; e la mia voglia di rimettere le mani in pasta dopo mesi di progetto in Guatemala. Mi dicevo: "sarà una cosa figa da mettere a curriculum".
E lo è stata, ma non per i motivi ovvi.
La CTA non è una semplice sequenza di lezioni. È una challenge travestita da percorso formativo: incontri tecnici, momenti di inquadramento, e poi tu e un gruppo di sconosciuti a costruire qualcosa che abbia senso in poco tempo. La parte "aula", svolta completamente online, ti fornisce linguaggi e coordinate; la parte "sfida" ti costringe a usarli con tutti i limiti del mondo reale: fusi orari, agende, vite incasinate.
È lì che accade l'apprendimento vero. Non quello che leggi sui libri, ma quello che ti si stampa addosso quando devi far funzionare le cose.
Il territorio sconosciuto del cleantech
Ho trovato contenuti solidi, anche se non sempre nuovi per me. Alcuni temi li avevo già incontrati altrove, ma qui arrivavano da un'angolazione più tecnico-scientifica e connessa alla transizione energetica. Era come tornare in una materia familiare ma scoprire che la guardavi dal lato sbagliato della lavagna. L’aspetto costante di pensare in termini innovativi e per impatti è qualcosa che mi ha restituito prospettive nuove.
Ho trovato anche lacune (normale per la prima edizione) su parti che avrei voluto più pratiche e sporche di contatto reale con il mondo. Ma, soprattutto, ho trovato persone: cervelli curiosi, provenienze diverse, livelli di esperienza che non combaciavano alla perfezione.
Perfetto. La creatività vive benissimo nella disomogeneità.
L'effetto "diversità cognitiva": quando metti insieme prospettive diverse, non ottieni solo idee migliori. Ottieni modi completamente nuovi di vedere i problemi. È come avere più sensori che raccolgono segnali diversi dalla stessa realtà.
La CTA, per come l'ho vissuta, è stata un campo di allenamento: ti mette davanti a vincoli, tempi di interazione, necessità di scegliere. E ti obbliga a spostare l'attenzione dal "capire" al "fare quel poco che serve per capire meglio".
È quello che chiamo apprendimento sotto pressione: quando non hai tempo di essere perfetto, scopri cosa è davvero essenziale.
Entrare senza bussola (e costruirsene una strada facendo)
Sono partito così: poche aspettative, molto istinto. Questo mi ha aiutato a non irrigidirmi sulle idee e ad accettare che, inizialmente, avrei corso più dietro all'organizzazione che ai contenuti. Le prime settimane sono state la prova: ancora con la testa in un continente, il corpo in un altro, e intanto lezioni, call, allineamenti.
Ho fatto quello che faccio quando il mare è mosso: rallentare, tenere la rotta, respirare.
In quel respiro ho capito che la mia "vittoria" non sarebbe stata il pitch finale, ma la capacità di tornare presente mentre tutto intorno era frammentato. Era una lezione di antifragilità in tempo reale: non resistere al caos, ma usarlo per diventare più adattabile.
PABAS Energy: quando l'ipotesi è più onesta della promessa
Con il team abbiamo sviluppato PABAS Energy: un'idea di co-valorizzazione degli scarti tessili e delle biomasse residue per generare energia tramite syngas e produrre biochar, con la possibilità di attivare crediti di carbonio. L'idea ha funzionato per il contesto: logica chiara, racconto coerente, una traiettoria che stava in piedi.
Abbiamo vinto!
Bello. Ma al di là dell'applauso, ho voluto essere onesto con me stesso: non è (ancora) una startup, è un'ipotesi lavorabile.
Cosa intendo per "ipotesi lavorabile"?
Significa che regge sul tavolo, ma ha bisogno di test: feedstock reali, umidità e miscele, rese e qualità del syngas, caratterizzazione del biochar. Ha bisogno di conversazioni fuori dalla bolla, con chi oggi paga per smaltire rifiuti e con chi domani pagherebbe per un sottoprodotto di valore.
E ha bisogno della parte che nelle slide non entra quasi mai: il rapporto con i territori, le persone, le amministrazioni. La tecnologia non basta; serve licenza sociale per operare. È una lezione che ho imparato duramente in Guatemala: le soluzioni migliori sulla carta possono schiantarsi contro la realtà sociale se non le progetti insieme alle persone che le dovranno vivere.
La fatica (necessaria) di costruire squadra da remoto
Lo dico senza giri di parole: lavorare full-remote con un team che non si è scelto è faticoso. Richiede strumenti e rituali minimi per diventare squadra. Quando mancano, si scivola nella "via a minor resistenza": prendere l'idea più pronta e portarla a pitch.
L'abbiamo fatto anche noi. Non lo demonizzo; è umano. Ma non lo confondo con l'innovazione più radicale e profonda. Quello è un primo giro di ruota, non il prodotto finale.
In tutto questo, ho imparato a dare valore alle micro-intese: dieci minuti ben spesi su ruoli e aspettative salvano ore di fraintendimenti. Ho imparato che la qualità di una collaborazione non si misura sul numero delle call, ma sulla chiarezza delle decisioni che quelle call producono.
E ho imparato che posso contribuire bene quando porto ordine pratico: due strumenti condivisi, un framework decisionale, una pagina che tiene insieme ciò che stiamo facendo. Non è glamour, ma funziona. È il 20% di Pareto che fa girare l'80% del lavoro.
Quello che resta quando i riflettori si spengono
Resta una vittoria formale, che fa piacere e si racconta volentieri. Resta un apprendimento sostanziale, che è quello che mi interessa: a parità di slide, vince chi sa muoversi nel caos e distinguere quello che è elegante da quello che è utile.
Resta anche una consapevolezza personale: mi manca lavorare con una squadra vera. Non un gruppo efficiente; una squadra. Identità, fiducia, vocabolario comune. Lì so di poter dare il meglio e fiorire. È la differenza tra suonare insieme e fare musica insieme.
A chi sta pensando di candidarsi
La CTA è per te se cerchi una palestra: vuoi “stare in mezzo” (in modo virtuale) a persone diverse, lavorare con vincoli reali e accettare che l'output non sia perfetto ma progredisca. Non è per te se cerchi un corso che ti "spieghi tutto" per poi muoverti quando ti sentirai pronto. Quella prontezza non arriva mai.
Se dovessi riassumere il mio percorso: sono entrato con l'idea di aggiungere una riga al CV; sono uscito con un paio di abitudini nuove.
Le lezioni che porto con me
- Validare non è un gesto tecnico, è un'abitudine mentale: non serve sempre un laboratorio: a volte bastano tre telefonate giuste e un test fatto male ma onesto per cambiare idea. È la differenza tra cercare conferme e cercare verità.
- L'energia personale è un asset, non un dettaglio: avere troppi progetti aperti diluisce le forze e anestetizza gli slanci. Il punto non è fare meno; è scegliere meglio. È come l'antifragilità di Taleb applicata alla gestione personale: meno esposizione al caos inutile, più capacità di crescere dal caos necessario.
- La tecnologia è relazione: se lavori con rifiuti, biomasse, territori, persone, non puoi arrivare alla fine con la comunicazione. Devi progettare la trasparenza: raccontare cosa fai, perché lo fai, come misuri gli impatti. È parte del lavoro, non un extra da aggiungere quando tutto è pronto.
- Imparare è spesso togliere: nella CTA ho tolto aspettative inutili e ho tenuto gli strumenti che mi servono: test piccoli, domande giuste, condivisione sobria. È il principio della scultura: togli tutto quello che non è la statua che vuoi creare.
Quando l'esperimento riesce (anche se non come pensavi)
PABAS Energy rimane per me un esperimento riuscito: non perché sia pronto, ma perché mi ha insegnato dove guardare quando la tentazione è riempire le slide di promesse. Ho imparato che preferisco una verità imperfetta a una teoria elegante.
E che la parte migliore di questi percorsi non è mai l'ultima presentazione: è il momento in cui ti accorgi che stai imparando a costruire.
La CTA mi ha ricordato che l'apprendimento vero succede quando smetti di voler avere ragione e inizi a voler capire. Quando accetti che la strada migliore per arrivare alla competenza passa attraverso l'incompetenza consapevole.
Se stai entrando in un programma come la CTA, portati curiosità, onestà e un po' di coraggio per dire "non lo so, proviamo". Il resto si impara strada facendo. E, sì, qualche volta si vince pure.
Ma la vera vittoria è uscire con una bussola più semplice e più tua.
Data pubblicazione: 19 agosto 2025
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