Dalla sabbia al mare: una storia di attesa

Dalla sabbia al mare: una storia di attesa

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Diario
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Esplorazioni - DB
Date
Oct 17, 2025
Storie - DB
ID
12
Due settimane accanto a un nido di tartarughe marine, tra attese infinite, una sola vita nata e il lavoro silenzioso di chi veglia. A volte le esperienze più profonde nascono quando smetti di cercare qualcosa di grande e ti lasci semplicemente assorbire da quello che hai davanti.
 
Non è finita come speravo. E va bene così.
Perché quando sono tornato a casa quella mattina del 14 settembre, con ancora la sabbia nelle tasche dei pantaloni e negli occhi l'immagine di tutte quelle uova che non si sono mai schiuse, ho capito che il senso non stava nel finale. Stava in tutto quello che era successo prima: nelle notti insonni, nei caffè freddi bevuti sotto le stelle, nelle conversazioni con i bambini incuriositi, in quella singola tartarughina che aveva corso verso il mare sei giorni prima.
Quell'unica piccola vita che ce l'aveva fatta valeva tutte le settimane di attesa. Ma facciamo un passo indietro…

Come tutto è iniziato: una sera, una fotocamera, una curiosità

Ero arrivato a casa al mare da un paio di giorni per passare un po di tempo con i miei genitori. Una sera scopro del nido perché mia madre mi racconta che lo segue da Facebook. Era una di quelle serate in cui vengono in mente idee strane ma senza un piano preciso. Prendo la fotocamera in spalla e l'idea di fare due scatti al nido, ed esco di casa alle 23 circa. Una foto, forse due, e poi a casa. Invece sono finito per restare fino a notte fonda, seduto sulla sabbia a parlare con i volontari che presidiavano quel piccolo quadrato delimitato da paletti e nastro bianco-rosso.
C'era qualcosa di ipnotico in quel presidio. Non era solo protezione: era una forma di resistenza silenziosa. Persone che dopo il lavoro, invece di andare a casa sul divano, venivano in spiaggia a vegliare su qualcosa che speravano vedere nascere. Era un atto di fede nella natura, nella possibilità che 60 giorni di incubazione potessero trasformarsi in piccole vite che corrono verso il mare.
La sera dopo sono tornato. Non per le foto, ma perché quel posto mi aveva preso. Ho iniziato a dare una mano: niente di scritto, niente di ufficiale. Solo il mio entusiasmo, io che aiuto a sistemare delle fascette e il recinto, la voglia di aiutare e un approccio alla mano che mi ha fatto sentire subito parte del gruppo.
Così è nata una collaborazione "non scritta". All’inizio ho detto che mi occupavo di comunicazione e dato che ero in vacanza avrei potuto fare qualche scatto e girare qualche video per loro. Poi tra una chiacchiera e un po di fiducia, ho iniziato a coprire qualche turno turno, a scattare foto, a raccontare il nido ai passanti, a far parte in maniera silenziosa, da infiltrato, di “uno di quelli del nido”, come dicevano i curiosi che passavano di li.

Vita da presidio: quando il tempo si misura in maree

Per due settimane il tempo non si è più misurato in ore, ma in maree. La routine scandita non dalla sveglia, ma dal suono delle onde che si avvicinavano e si allontanavano dal nido. Caffè che diventavano freddi mentre osservavi la sabbia, scarpe eternamente piene di granelli, piedi scalzi sulla sabbia fresca delle notti di settembre, torce rosse che nella notte creavano cerchi di luce intorno a quello spazio protetto.
Il presidio era un ecosistema umano particolare. Volontari fissi che non mancavano mai un turno, altri che passavano quando potevano, famiglie con bambini che si fermavano incuriositi durante il giorno, turisti che inizialmente pensavano fosse un normale cantiere e poi rimanevano mezz'ora ad ascoltare la storia, durante la notte. Era bello vedere come quel piccolo quadrato di sabbia diventasse un punto di aggregazione, un pretesto per parlare di oceani, di migrazione, di cicli naturali che spesso dimentichiamo.
Non eravamo solo guardiani; eravamo traduttori. Il lavoro dei volontari, e anche il mio dopo qualche giorno e qualche ora di studio, era quello di tradurre il linguaggio silenzioso della natura, il linguaggio della scienza, in una forma più adatta a chi si fermava a chiedere "cosa state facendo?". E ogni volta che un bambino se ne andava dicendo "spero che nascano tutte", sapevamo che qualcosa era cambiato, anche solo in piccolo.
Era anche scienza pura: osservazioni quotidiane, i dati delle temperature delle prime settimane, appunti che sarebbero stati presi durante la schiusa, parametri e dati che arricchiscono la nostra conoscenza su animali che in realtà conosciamo ancora troppo poco.

L'attesa infinita: quando sperare diventa un atto di coraggio

Abbiamo atteso per giorni, sperando di vedere la sabbia muoversi. Una crepa, un piccolo cedimento, qualsiasi segno che sotto quella superficie apparentemente immobile ci fosse vita che spingeva verso l'alto. L'attesa, in quel contesto, diventava quasi meditativa. Ti costringeva a rallentare, a osservare i dettagli, a sincronizzarti con ritmi che non sono umani.
Il 7 settembre, alle quattro del mattino, è arrivato il momento della prima ispezione. Con mani delicate abbiamo iniziato a scavare il primo strato di sabbia. Ed ecco: una piccola tartarughina. Era viva, forte, e si muoveva con quella determinazione istintiva che solo i neonati sanno avere. L'abbiamo liberata in mare, accompagnandola verso quell'orizzonte che sarebbe diventato la sua casa per chissà quanti anni.
È stato un momento magico. Vedere quella piccola creatura correre verso le onde, guidata da un istinto millenario, è stato come assistere a un miracolo quotidiano che non smette mai di essere straordinario. Abbiamo interrotto l’ispezione, richiuso il nido convinti che fosse solo l'inizio e che nei giorni successivi avremmo visto altre emersioni.
Ma sei giorni dopo, il 13 settembre, durante l'ispezione finale, abbiamo scavato fino in fondo. Quello che abbiamo trovato era una realtà diversa da quella sperata: uova chiuse, metà circa non fecondate, le altre con lo sviluppo interrotto a vari stadi. Probabilmente la mareggiata di inizio agosto, quella che aveva messo a rischio il nido per giorni, aveva fatto annegare gli embrioni in formazione.
Il silenzio quella notte era assordante. Non il silenzio della pace, ma quello della consapevolezza che la natura, a volte, ha i suoi piani che non coincidono con i nostri sogni. L'unica vita nata era quella che avevamo visto correre verso il mare giorni prima. Una sola, su decine di uova.

Una sola vita… ma che conta

Non è stato il finale che speravamo. Ma ogni notte di attesa, ogni sorriso stanco dei volontari, ogni parola detta ai bambini che si fermavano incuriositi, ha avuto un senso profondo che va oltre il risultato numerico.
Quel nido non è stato un fallimento: è stato un atto di preservazione. Un gesto fatto per proteggere le tartarughe che senza l’impegno dei volontari sarebbero finite altrove attirate dalle luci della città, le uova probabilmente mangiate da qualche predatore oppure semplicemente un ignaro turista che senza saperlo ci avrebbe infilato un ombrellone sopra. Il lavoro di presidio, protezione e divulgazione è stato importante, tanto per gli animali quanto per noi. Una memoria raccolta con cura, un'esperienza condivisa che ha creato legami tra persone. Una dimostrazione che proteggere la natura è prima di tutto proteggere la possibilità che la vita accada, anche quando non siamo sicuri che accadrà davvero.
E quella piccola tartarughina che ce l'ha fatta? Porta con sé tutte le nostre notti insonni, tutti i nostri gesti di protezione, tutta la cura che abbiamo messo in quell'attesa. Il nido ora è una macchia di sabbia come le altre, ma magari tra 25 anni sarà proprio lei a fare ritorno su quella spiaggia dove è nata per fare il suo nido.
 

Il valore dell'attesa in un mondo che corre

C'è qualcosa di profondamente controcorrente nell'esperienza del presidio. In un mondo che misura tutto in produttività e risultati immediati, vegliare su un nido di tartarughe ti costringe a rallentare, ad accettare che alcuni processi non possono essere accelerati né controllati.
L'attesa, lì, non era tempo perso. Era tempo investito nella possibilità, nella speranza, nella dimostrazione che esistono ancora spazi dove l'umano può mettersi al servizio del naturale senza pretendere nulla in cambio.
 
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Data pubblicazione: 17 settembre 2025