Quando il mondo ci chiede di essere una cosa sola
Mi porto dentro una domanda da quando avevo tredici anni: c'è davvero spazio nel mondo per chi non sa fare una sola cosa?
Negli ultimi anni ho iniziato a rispondermi di sì. Ma non è una risposta facile, e soprattutto non è una risposta che il mondo sembra voler sentire.
L'illusione della separazione
Ho sempre visto il mondo come un insieme di specializzazioni, un puzzle di pezzi separati. È così che ci insegnano a guardare le cose fin dalla scuola: matematica da una parte, letteratura dall'altra, come se fossero universi paralleli destinati a non incontrarsi mai.
Poi a un certo punto ho capito che era una menzogna. Tutto è strettamente interconnesso. Cercare quello spazio di interconnessione, capire cosa c'è al limite tra una “materia” e l'altra, tra un'esperienza e l'altra, tra una vita e l'altra, è da sempre la mia ossessione.
E proprio quando ho iniziato a fare pace con questa natura multiforme, il mondo ha iniziato a cambiare nuovamente, spingendo sempre di più in direzione opposta.
L'algoritmo della verticalità
I social negli ultimi anni sono cambiati radicalmente. Sono passati dall'essere un collegamento tra persone a essere un collegamento tra contenuti. Non seguiamo più le persone, seguiamo gli interessi. O meglio, l'algoritmo ci suggerisce cosa dovremmo trovare interessante.
Io faccio impazzire l'algoritmo. Non riesce a capire quali sono i miei interessi perché cambiano ogni settimana. Il mio feed difficilmente riesce a suggerirmi contenuti che siano realmente in linea con me per più di due giorni. Ma capisco che quel modello funziona. È un modello che funziona perfettamente per chi ha interessi stabili, definiti, verticali.
I social ci vogliono verticali, sia come creatori che come consumatori. Più sei di nicchia, più i tuoi contenuti vengono spinti dall'algoritmo. Più sei verticale nei tuoi interessi, più l'algoritmo può tenerti incollato allo schermo, nutrendoti sempre con lo stesso tipo di contenuto.
E questo modello non riguarda solo i social. È il modello dominante del mondo del lavoro. Siamo tutti specialisti di qualcosa, esperti di qualcos'altro. E ci sta, non è questo il problema. La domanda che mi pongo è semplice ma non facile da rispondere: è davvero il fatto di parlare sui social solo di una cosa, studiare solo una specifica materia, essere solo quel titolo, ciò che ci rende adatti al mondo?
La domanda scomoda
Sono una persona curiosa e non è facile conviverci. Soprattutto quando sembra che il mondo sia fatto a misura di persone che non soffrono dell'urgenza di voler collegare, mettere insieme, sviluppare punti di vista, cambiare, crescere e mettere in discussione ogni singola cosa.
Da sempre sono attratto da molteplici interessi ed è sempre stato difficile incastrarsi. Eppure circa due anni fa ho trovato la risposta (credo) a quella domanda che mi porto dentro dall'adolescenza: è davvero impossibile vivere una vita multidimensionale?
La risposta è NO. Decisamente no.
C'è gente là fuori che fa tantissime cose e vive tantissime vite, pur essendo una sola persona. Vale nei campi più disparati. Naval Ravikant ne parla nel mondo dell'imprenditoria. I più grandi esploratori spaziali, geografici, scientifici, ma anche umani, incarnano questa realtà. Ho costruito una “bolla” dove la maggior parte dei contenuti che consumo sono di persone e di natura multidisciplinare.
Ma il mondo continua a volerci verticali. I social ci vogliono verticali. E molte relazioni, sfortunatamente, ci vogliono verticali. Ho osservato che molte persone hanno difficoltà ad accettare il cambiamento degli altri. Quando cambi ti dicono: "Ah, ma sei cambiato", come se fosse un'accusa.
Il paradosso dell'intelligenza artificiale
In un mondo dove tutto sembra diventare monodimensionale, mi chiedo: è davvero questa la chiave? La chiave del successo sui social è davvero parlare di una sola cosa? La chiave del successo lavorativo è saper fare una sola cosa così bene da essere l'unico a poterla fare? La chiave della vita felice è davvero viverne una sola?
Dall'alto dei miei venticinque anni di esperienza su questa terra, credo fermamente di no.
Credo che anche se il mondo è costruito a misura di questa apparente specializzazione, che in certi casi è oggettivamente necessaria, noi siamo molto di più.
Ed ecco il paradosso: in un mondo dove l'intelligenza artificiale sta prendendo piede, dove ogni settimana nascono strumenti in grado di sviluppare i task più disparati e non solo verticali, noi stiamo perdendo la capacità di collegare informazioni. Stiamo delegando all'AI proprio quella capacità di creare connessioni che ci rende umani.
Uso l'intelligenza artificiale quotidianamente da più di due anni. Ho lavorato, integrato, sviluppato soluzioni per me, per team, per clienti, per progetti. Sono un entusiasta dell'AI perché mi permette di sviluppare rami verticali all'interno della mia vita, lavorandoci molto più velocemente.
Non credo che la soluzione sia scegliere tra un approccio o l'altro. Ma credo fermamente che ci stiamo dimenticando che il vantaggio di essere umani, animali prima di tutto e umani in seconda istanza, è proprio il fatto che siamo naturalmente incuriositi, attratti da capire, vedere, scoprire, esplorare.
L'esperienza contro l'algoritmo
Ce ne dimentichiamo nel momento in cui apriamo TikTok.
La differenza di scarica di dopamina tra l'esplorare realmente in mezzo alla foresta amazzonica e vedere un video su TikTok, io l'ho provata. E vi assicuro che la prima è molto più potente.
Passati tre giorni non ricordiamo niente di quello che abbiamo visto sui social. Se chiedessi a ciascuno quanto ricorda delle storie viste la settimana scorsa su Instagram o dei reel su TikTok, forse ricorderebbe uno o due contenuti.
Eppure dopo un viaggio, un'esperienza reale, il cervello cambia fisicamente. Si creano nuove connessioni neurali. Non puoi non essere diverso da prima. E anche solo il ricordo, solo l'emozione di vedere quelle foto, quelle immagini nella mente, accende quei neuroni che sono parte della nostra esperienza. E a me questa sensazione accende tantissimo sempre di più la voglia di scoprire, imparare, esplorare.
Siamo esseri complessi. Complessi negli interessi, nelle cose che ci piacciono, nelle cose che possiamo fare e sviluppare.
E qui sta il paradosso della verticalità digitale: in un mondo in cui tutto diventa verticale, stiamo costruendo un'intelligenza artificiale generale, capace di fare qualsiasi cosa. Stiamo provando a delegare all'AI il potere che noi abbiamo naturalmente.
Noi diventiamo sempre più verticali negli interessi, nelle cose di cui parliamo, nelle relazioni, nelle esperienze di vita, comprimendoci al punto da creare qualcosa che possa vivere al posto nostro.
E facendolo ci dimentichiamo di tutto il resto: del pianeta dove siamo, delle relazioni che abitiamo, della nostra vita che diventa solo l’insieme di contenuti che nessuno ricorderà mai.
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