Affondiamo capitano!
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Affondiamo capitano!

ID
13
Date
Dec 9, 2024
Tags
Storia
Il mare era calmo, quasi immobile, riflettendo in esso i punti luminosi del cielo notturno come uno specchio d’argento. La nave tagliava l’acqua con una grazia naturale, il vento riempiva dolcemente le vele, e il canto delle onde contro lo scafo era una melodia rassicurante. Il capitano, osservava l’orizzonte dal ponte con un misto di soddisfazione e orgoglio. Aveva preso quella rotta centinaia di volte e ogni volta la sfida era diversa, ma mai come quel giorno il mare sembrava essere suo alleato.
“Capitano, tutto in ordine per ora,” annunciò il primo ufficiale, salendo sul ponte di comando. “Il vento è stabile, e secondo le stelle saremo a destinazione prima dell’alba.”
J. annuì, ma il suo sguardo rimase fisso sull’orizzonte. C’era qualcosa nell’aria, un’inquietudine che non riusciva a scacciare. Gli anni trascorsi in mare gli avevano insegnato che il silenzio del mare nascondeva sempre qualcosa. Si voltò verso l’ufficiale e rispose: “Bene, ma tieni gli uomini pronti”.
Come a voler confermare i suoi timori, poco dopo, una linea scura si disegnò all’orizzonte, tagliando il cielo come un’ombra minacciosa. In pochi minuti, il vento cambiò direzione, sibilando attraverso le sartie con una forza crescente. L’acqua cominciò a incresparsi, prima lentamente, poi con una furia che sembrava una mandria di cavalli.
“ALLARME!” gridò il primo ufficiale, mentre il mare, un tempo placido, si trasformava in un gigante che respirava onde. Gli uomini corsero ai loro posti, cercando di mettere in sicurezza la nave, ma il vento gli impediva di prendere il controllo delle vele, la corda della vela di maestra si allentò e nessuno riusciva a recuperarla. Erano smarriti, non sapevano più cosa fare.
“Capitano, questa non è una tempesta normale!” una voce si alzo dall’equipaggio.
“AFFONDIAMO, CAPITANO”, l’eco di questa profezia continuava a risuonare nelle sue orecchie.
J. non rispose, perché sapeva che era vero. Quel vortice nero che si formava davanti ai loro occhi era un maelstrom di dimensioni ciclopiche, una forza della natura che non lasciava scampo. E proprio in quel momento il capitano, sentì la morsa della paura stringergli il petto, il fiato si faceva sempre più corto, la vista sempre più annebbiata. Non gli era mai accaduto prima, ma si ritrovò bloccato, incapace di decidere. La sua esperienza, le sue certezze, tutto sembrava dissolversi davanti alla furia del mare. La nave oscillava pericolosamente, tanto quanto la sua mente che sprofondava negli abissi del terrore che lo impauriva.
J. era un capitano di ventura, ne aveva attraversate di tempeste ma mai nessuna era stata così dura. In quel momento ricordò quella volta nel golfo dove, una raffica improvvisa da tribordo aveva fatto piegare l’albero di maestra così tanto, da fargli temere che si spezzasse. Sentì l’adrenalina pompare nelle vene, le mani che gli sudavano, gli occhi gli si spalancarono: aveva ritrovato il marinaio dentro di se. Un marinaio può anche avere paura, ma non può permettere che la paura lo governi. La fiducia nella sua nave, nei suoi strumenti, nel suo equipaggio, nelle sue capacità lo destò dal terrore che lo bloccava.
AHHHHH TIRATE QUEGLI ARGANI E ISSATE COMPLETAMENTE LA VELA!!!”.
Urlò improvvisamente a tutto l’equipaggio, che a malapena riusciva a tenersi in piedi per via degli scossoni sulla carena di destra. “Ma capitano, la vela rischia di strapparsi, l’albero non può reggere queste raffiche che continuano a cambiare direzione.” Ribatté il primo ufficiale, con la voce tremante come una corda tesa sotto troppa pressione. “Non dovremmo mollare completamente e aspettare che si stabilizzi?”.
“Mio caro, nessuna tempesta si supera sedendovisi dentro, e pregando che le onde siano clementi, tantomeno questi giganti”. Affermò con sicurezza il capitano. “Ma allora cosa facciamo?” chiese dubbioso il primo ufficiale.
“CI ENTRIAMO DENTRO!!” urlò ridendo il capitano. “Come i bisonti americani, quando vedono una tempesta arrivare dalle Rocky Mountains e iniziano la carica contro di essa. Perché sanno che scappando nella direzione opposta essa durerà più a lungo. Anche noi, ci entriamo dentro.”
Il primo ufficiale rimase a bocca aperta, incerto ed incredulo per un istante ma poi, uno scintillio di comprensione illuminò il suo sguardo. Non era solo una strategia, era una filosofia. L’equipaggio non aveva altra scelta che fidarsi del suo capitano.
“AVANTI, UOMINI! AI VOSTRI POSTI!” gridò il primo ufficiale, trasmettendo a sua volta l'energia e la determinazione del capitano. L’equipaggio rispose con un coro di voci che sfidava il fragore della tempesta, mentre le mani si muovevano frenetiche per tirare gli argani, assicurare le corde per rimettere in assetto la nave.
L’imbarcazione, che fino a quel momento sembrava sul punto di cedere, cominciò a rispondere ai comandi. Il vento che faceva urlare la vela adesso la riempiva, spingendo la nave avanti, verso il cuore della tempesta. Le onde sembravano volerne divorare lo scafo, ma con ogni metro guadagnato, il controllo ritornava nelle mani del capitano e del suo equipaggio.
“Ci siamo dentro!” esclamò il timoniere, con le mani incollate alla ruota. “Ora o mai più, capitano!”. J. respirò profondamente, lasciando che l’adrenalina si trasformasse in una calma focalizzata.
AVANTI TUTTA! Pronti a virare” ordinò con voce ferma, puntando lo sguardo oltre la cortina d’acqua e vento che oscurava il cielo. La lotta con le onde e il vento non era facile. Poco a poco, i venti sembrarono attenuarsi, e il frastuono della tempesta si fece meno opprimente. Quando finalmente il mare cominciò a calmarsi e il sole di una nuova alba filtrò tra le nubi. L’intero equipaggio esplose in un grido di trionfo.
J. guardò i suoi uomini con orgoglio. “Bravi marinai,” disse. “Non abbiamo evitato la tempesta. L’abbiamo attraversata.”
 
 
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Vecchio taccuino, nuova tempesta. Ho trovato questa storia tra i miei diari di qualche anno fa e ho deciso di lasciarla riemergere. Forse non c’è un motivo preciso, ma mi piace così.
 
 
 
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